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Tribunale di Firenze, Sez. III civ., sent. 9 giugno 2015, Giudice Ghelardini

“Omissis”

Il sig. ************ ha chiesto disporsi la risoluzione per inadempimento imputabile alla convenuta dell’atto transattivo di cui al verbale di conciliazione in data 3.12.2009, con condanna della stessa a rimuovere i manufatti eseguiti in parziale adempimento di esso e con condanna della medesima al risarcimento dei danni, quantificati in € 25.000,00.

************ ha resistito alle domande, di cui ha chiesto il rigetto, avanzando a sua volta domanda riconvenzionale per il pagamento dell’importo di € 4.944,62 oltre alla quota parte posta a carico dell’attore ed alle relative spese di demolizione del manufatto.

Il procedimento, già incardinato presso la sezione distaccata di Empoli, è stato istruito con prova per testi, in via documentale, e con CTU.
A seguito della soppressione
ex lege della Sezione Distaccata, la causa è stata trasferita presso la sede centrale ed assegnata a questo Giudice (provv. Presidenziale 13.11.2013).

All’udienza 15.4.2014 l’ufficio ha disposto procedersi a mediazione delegata nel termine di gg 15 ai sensi dell’art. 5, II co., D. Lgs. N. 28/2010 e successive modifiche.
Tale incombente non ha sortito esito positivo.

All’udienza 5.5.2015 è stata rilevata di ufficio la improcedibilità delle domande proposte attesa la tardiva attivazione del procedimento di mediazione.
Le parti hanno quindi precisato le conclusioni, confermando quelle di cui agli atti introduttivi.

La causa è passata in decisione a seguito di discussione orale. Le parti hanno depositato note conclusive autorizzate.

L’invio delle parti in mediazione (c.d. mediazione delegata o disposta dal giudice) costituisce potere discrezionale dell’ufficio che può essere esercitato “valutata la natura della causa, lo stato dell’istruzione ed il comportamento delle parti” sempreché non sia stata tenuta l’udienza di precisazione delle conclusioni. Ove la mediazione venga disposta, il suo esperimento “è condizione di procedibilità della domanda giudiziale” (art. 5, II co. D.Lgs. citato).

Ne segue che il mancato esperimento della mediazione vizia irrimediabilmente il processo, impedendo l’emanazione di sentenza di merito.
Tale disciplina, finalizzata a favorire la conciliazione della lite con l’intervento di soggetto terzo imparziale, non pone problemi di natura costituzionale né appare lesiva dei precetti di cui allanormativa sovranazionale sul diritto di azione e di accesso alla giustizia (Carta di Nizza, CEDU).

Non vi è dubbio infatti che l’intento perseguito – deflazionamento del contenzioso con positivi effetti sotto il profilo della ragionevole durata del processo – giustifichi sotto il profilo razionale e costituzionale, da un lato, il potenziamento degli istituti di definizione delle controversie alternativi al

processo, e, dall’altro, la sanzione prevista in caso di inottemperanza all’ordine giudiziale.
Nessun dubbio può poi porsi circa la applicabilità della disciplina della mediazione delegata ai procedimenti pendenti alla data del 21.9.2013, data di entrata in vigore delle nuove disposizioni in materia di mediazione.

Invero, in assenza di una espressa diversa disciplina transitoria ed in coerente osservanza del principio tempus regit actum, secondo cui la validità degli atti processuali deve essere valutata con riferimento alla disciplina vigente al momento in cui l’atto è compiuto, e non a quella in vigore alla data di avvio del processo, non vi è alcuna ragione di ritenere l’istituto in questione applicabile esclusivamente ai procedimenti avviati dopo la sua entrata in vigore.

N’è d’altra sul punto si traggono spunti interpretativi diversi dal disposto dell’art. 24 del D. Lgs. N. 28 (che differiva l’efficacia dell’originario art. 5, comma1, ai procedimenti avviati dopo il 21.3.2011), posto che tale norma si riferisce espressamente alla mediazione ante causam, oggi disciplinata dall’art 5, co. 1 bis, e non a quella delegata/demandata dal giudice (art. 5, co. 2), così come novellata dal DL n. 69/13 conv. con modif. nella L. 98/2013.

Nella fattispecie è pacifico che, nel termine concesso all’udienza 15.4.2014, nessuna delle parti ha attivato la mediazione.
Irrilevante e tardivo, ad avviso del Tribunale, è poi il successivo esperimento della mediazione su iniziativa della parte convenuta in data 8.7.2014 (cfr sul punto quanto risultante dal verbale di mediazione depositato).

Trattasi, infatti, di adempimento posto in essere quando il termine ex lege assegnato per l’esperimento (rectius: attivazione) del procedimento di mediazione era già ampiamente scaduto.
Né d’altra parte giova obbiettare che, in difetto di legale espressa previsione, il termine in questione non avrebbe natura perentoria, ma solo ordinatoria (art. 152 c.p.c.).

Invero, secondo la giurisprudenza di legittimità, che si condivide, il carattere della perentorietà del termine può desumersi, anche in via interpretativa tutte le volte che, per lo scopo che persegue e la funzione che adempie, lo stesso debba essere rigorosamente osservato (in questo senso Cass. n. 14624/00, 4530/04).

Non si dubita ad esempio, che, il termine per proporre opposizione a decreto ingiuntivo di cui all’art. 641 c.p.c., pur non espressamente dichiarato perentorio da tale disposizione, abbia tale qualità, sia perché tale procedimento presenta taluni caratteri del procedimento impugnatorio, la cui proposizione è secondo i principi generali sempre scandita da rigorosi termini processuali, sia perché la mancata osservanza di tale termine comporta esecutorietà del decreto ex art. 647 c.p.c..

Ritiene il giudicante che a conclusione analoga si debba pervenire in caso di mancato rispetto del termine concesso dal giudice ex art. 5, II co., ultimo periodo D. Lgs. citato per il deposito della domanda di mediazione.
La implicita natura perentoria di tale termine si evince dalla stessa gravità della sanzione prevista, l’improcedibilità della domanda giudiziale, che comporta la necessità di emettere sentenza di puro rito, così impedendo al processo di pervenire al suo esito fisiologico.

Apparirebbe assai strano che il legislatore, da un lato, abbia previsto la sanzione dell’improcedibilità per mancato esperimento della mediazione, prevedendo altresì che la stessa debba essere attivata entro il termine di 15 gg, dall’altro, abbia voluto negare ogni rilevanza al mancato rispetto del suddetto termine.

In proposito è solo il caso di rilevare che, anche a ritenere di natura ordinatoria e non perentoria il termine di 15 gg per l’avvio della mediazione, la mancata proposizione di tempestiva istanza di proroga comporta inevitabilmente secondo la prevalente giurisprudenza, che si condivide, la decadenza dalla relativa facoltà processuale (così, in materia di conseguenze del mancato rispetto di termini ordinatori processuali, non prorogati, cfr, di recente, Cass. N. 589/2015, n. 4448/13, e con pronunce più risalenti, Cass. n. 4877/05; 1064/05; 3340/97).

Il principio è stato da ultimo applicato nelle indicate sentenze della corte di legittimità essenzialmente con riferimento al caso della violazione del termine concesso dal giudice per l'assunzione dei mezzi di prova fuori della circoscrizione del tribunale (art. 203, II co. c.p.c. secondo cui “Nell’ordinanza di delega il giudice delegante fissa il termine entro il quale la prova deve assumersi…”)

La S.C., confermando un orientamento già più volte espresso, con la sentenza n. 589/2015, premesso che tale termine ha carattere ordinatorio, e che quindi lo stesso è prorogabile, ex art. 154 cod. proc. civ., in caso di istanza avanzata prima della scadenza del termine stesso, ha evidenziato che il suo inutile decorso “comporta la decadenza della parte dal diritto di far assumere la prova delegata, e non soltanto dal diritto di far assumere, per delega, la prova medesima”.

Va pertanto senz’altro disatteso quel diverso e più risalente orientamento, secondo cui “lo scadere di un termine ordinatorio … non produce effetti preclusivi, conformemente al disposto di cui all'art. 152 c.p.c., sempre che non si sia verificata una situazione processuale incompatibile” (v. Cass. Sez. Lav. N. 420/1998).

Né d’altra parte sul punto può valorizzarsi il diverso orientamento giurisprudenziale, anche recentemente ribadito, formatosi in materia di mancato rispetto del termine, ritenuto ordinatorio, per la attivazione del contraddittorio nei procedimenti attivati con ricorso (tra le tante vedi SSUU n. 5700/14; conforme Sez. I, n. 11418 del 22/05/2014).

Invero in tali casi la mancata messa in notifica del ricorso e del decreto di fissazione dell’udienza da parte del ricorrente è stata ritenuta sanabile in applicazione analogica del disposto di cui all’art. 291 c.p.c., con conseguente obbligo per il giudice, in caso di omessa notifica ovvero di notifica tardiva, di assegnare nuovo termine, questa volta di natura perentoria, per la rinnovazione della notifica fissando ulteriore prima udienza.

In quella fattispecie infatti la deroga ai principi generali in materia di effetti della violazione dei termini ordinatori è conseguenza della applicazione analogica di specifica disposizione normativa (art. 291 c.p.c.), riguardante il meccanismo di sanatoria della nullità della notifica dell’atto introduttivo.

Tale disposizione prevede che, “se il convenuto non si costituisce e il giudice rileva un vizio che comporta nullità della notificazione della citazione, fissa

all’attore un termine perentorio per rinnovarla. La rinnovazione impedisce ogni decadenza”.
Appare evidente che tale norma, per diversità di oggetto e materia, non può essere applicata alla fattispecie, nemmeno in via analogica. Si aggiunga che non risulta altra disposizione di ordine generale che consenta, sia pure mediante ricorso all’analogia, la sanatoria del mancato rispetto di termine ordinatorio non prorogato, in materia estranea a quella delle formalità per la instaurazione del contraddittorio.

Né d’altra parte appare lecito fare riferimento in via analogica al meccanismo di sanatoria previsto dal D. Lgs. N. 28/2010 e s.m.i. in caso casi di mancato esperimento della mediazione nelle materie in cui la stessa è obbligatoria ante causam (art. 5 co 1 bis).

Invero, considerata la natura speciale della disciplina della mediazione “iussu iudicis”, e la espressa sanzione di improcedibilità prevista in caso di inottemperanza, non appare ragionevole ammettere che, in caso di mancato esperimento e/o esperimento tardivo della mediazione disposta dal giudice, sia consentito alle medesime di sanare la propria inerzia mediante la concessione di nuovo apposito termine.

D’altra parte nella mediazione obbligatoria ante causam il relativo procedimento deve essere esperito prima del giudizio, e quindi d’iniziativa dalle parti.
Ciò spiega perché, ove tale incombente non venga assolto, e la questione sia eccepita dalla parte interessata o rilevata di ufficio, sia consentito sanare l’omissione mediante successivo esperimento della stessa. Si è voluto cioè, in coerenza con analoghe disposizioni processuali (si pensi al caso del tentativo obbligatorio di conciliazione) evitare l’applicazione della grave sanzione dell’improcedibilità per omissione che poteva essere frutto di mancata conoscenza dell’obbligo normativo. L’improcedibilità in tal caso consegue infatti solo al mancato esperimento della mediazione, ove non sia ottemperato l’ordine del giudice di esperire la mediazione art. 5, I co. bis, D. Lgs. n. 28/10 e ss.mm.ii..

Del tutto coerente con tale impostazione è l’aver previsto che il mancato esperimento della mediazione disposta dal giudice ai sensi del II comma della disposizione citata, comporti immediatamente, e quindi senza possibilità di sanatoria, l’improcedibilità della domanda.

Deve pertanto concludersi nel senso che la mediazione tardivamente attivata rende improduttivo di effetti il relativo incombente, provocando gli stessi effetti del mancato esperimento di esso.

Ne segue quindi la applicazione della sanzione della improcedibilità della domanda giudiziale.

Alla luce dei principi di diritto di cui sopra vanno pertanto sanzionate con l’improcedibilità le domande principali e quella riconvenzionale proposte.
Resta assorbita ogni questione di merito.

Spese del giudizio

Considerata la novità della questione e la circostanza che la stessa è stata rilevata di ufficio, le spese di lite vanno interamente compensate. Le spese di CTU, liquidate come in atti, per la stessa ragione vanno poste a carico delle parti, metà per ciascuna, con spese di CTP compensate.

P.Q.M.

Visto l’art. 281 sexies c.p.c.
Il Tribunale di Firenze, III Sez. Civ., definitivamente decidendo, ogni altra e contraria istanza
disattesa, così provvede:

1) DICHIARA improcedibili la domanda principale e quella riconvenzionale proposte;
2) COMPENSA le spese di lite;

3) PONE le spese di CTU, liquidate come in atti, definitivamente a carico delle parti, metà per ciascuna, con spese di CTP compensate.

Il Giudice

dott. Alessandro Ghelardini