REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori: Presidente: Francesco AMIRANTE; Giudici : Ugo DE SIERVO, Paolo MADDALENA, Alfio FINOCCHIARO, Alfonso QUARANTA, Franco GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE, Maria Rita SAULLE, Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 1, comma 2, 3, 4 e 6 della legge della Regione Lazio 24 dicembre 2008, n. 26 (Norme per la tutela dei minori e la diffusione della cultura della mediazione familiare) e dell’art. 1 della legge della Regione Lazio 24 dicembre 2008, n. 27 (Modifiche alla deliberazione legislativa approvata dal Consiglio regionale nella seduta del 10 dicembre 2008, concernente “Norme per la tutela dei minori e la diffusione della cultura della mediazione familiare”), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato il 27 febbraio 2009, depositato in cancelleria il 5 marzo 2009 ed iscritto al n. 18 del registro ricorsi 2009.
Visto l’atto di costituzione della Regione Lazio;
udito nell’udienza pubblica del 9 marzo 2010 il Giudice relatore Paolo Maddalena;
uditi l’avvocato dello Stato Diana Ranucci per il Presidente del Consiglio dei ministri e l’avvocato Paolo Papanti-Pelletier per la Regione Lazio.
Ritenuto in fatto
1.- Con ricorso notificato il 27 febbraio 2009 e depositato il 5 marzo 2009, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha sollevato in via principale, a seguito di delibera governativa in data 20 febbraio 2009, questione di legittimità costituzionale degli artt. 1, comma 2, 3, 4 e 6 della legge della Regione Lazio 24 dicembre 2008, n. 26 (Norme per la tutela dei minori e la diffusione della cultura della mediazione familiare), nonché delle disposizioni con essi inscindibilmente connesse o dipendenti, e dell’art. 1 della legge della Regione Lazio 24 dicembre 2008, n. 27 (Modifiche alla deliberazione legislativa approvata dal Consiglio regionale nella seduta del 10 dicembre 2008, concernente “Norme per la tutela dei minori e la diffusione della cultura della mediazione familiare”), affermandone il contrasto con l’art. 117, terzo comma, della Costituzione, nella parte in cui esso attribuisce allo Stato la competenza legislativa riguardo ai principi fondamentali in materia di professioni.
Riferisce il ricorrente che la legge regionale n. 26 del 2008 si propone di disciplinare, nell’ambito della Regione, le figure del mediatore familiare e del coordinatore per la mediazione familiare, introducendo una nuova figura professionale non altrimenti prevista da legge dello Stato. L’unico articolo della coeva legge regionale n. 27 del 2008 ha modificato l’art. 6 della legge n. 26 del 2008, integrandone i commi 1 e 2 ed eliminando il comma 3.
Specificamente, l’art. 1, comma 2, della legge regionale n. 26 del 2008 reca la definizione generale del ruolo e della figura professionale del mediatore familiare; gli artt. 3 e 4, a loro volta, prevedono e disciplinano la particolare figura di mediatore familiare costituita dal coordinatore per la mediazione familiare (istituito presso ogni ASL), del quale stabiliscono i compiti e le finalità; l’art. 6, infine, istituisce, presso l’assessorato regionale competente in materia di politiche sociali, l’elenco regionale dei mediatori familiari e reca l’analitica disciplina dei requisiti per l’accesso all’elenco stesso.
L’art. 1 della legge regionale n. 27 del 2008, nel modificare l’art. 6 della legge regionale n. 26 del 2008, ha esteso anche ai laureati in pedagogia la possibilità di iscriversi al suddetto elenco, mentre ha abrogato l’incompatibilità tra mediazione familiare ed esercizio di altre professioni o attività di impresa.
Ad avviso della difesa erariale, le disposizioni impugnate si propongono di individuare la funzione e i compiti, anche di supporto ai tribunali, del mediatore familiare e del coordinatore per la mediazione familiare, nonché, previa istituzione di un apposito elenco regionale, gli specifici titoli di cui il mediatore familiare deve essere in possesso per l’iscrizione all’elenco e, di seguito, per l’esercizio della professione.
Secondo l’Avvocatura, le norme denunciate sarebbero riconducibili alla materia delle “professioni”, appartenente alla competenza legislativa concorrente, ai sensi dell’art. 117, terzo comma, Cost.
Il ricorrente ricorda che, secondo la giurisprudenza costituzionale, spetta allo Stato la determinazione dei principi fondamentali nelle materie di competenza concorrente previste dall’art. 117, terzo comma, Cost., mentre la legislazione regionale deve svolgersi nel rispetto di quelli risultanti dalla normativa statale già in vigore; ed osserva che, in base all’art. 1, comma 3, del d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 30 (Ricognizione dei principi fondamentali in materia di professioni, ai sensi dell’art. 1 della legge 5 giugno 2003, n. 131), la potestà legislativa regionale si esercita relativamente alle professioni individuate e definite dalla normativa statale.
Secondo la difesa erariale, l’art. 155-sexies cod. civ., introdotto dalla legge 8 febbraio 2006, n. 54 (Disposizioni in materia di separazione dei genitori e affidamento condiviso dei figli), ha soltanto previsto, ma non istituito, la figura professionale del mediatore familiare, che difatti non é definita né disciplinata in alcuna legge statale.
La Regione – osserva l’Avvocatura – avrebbe riservato a sé la determinazione dei titoli professionali e dei correlativi contenuti della professione di mediatore familiare e di coordinatore. Ciò emergerebbe in particolare dall’art. 6 della legge n. 26 del 2008, che tra l’altro equipara, ai fini della idoneità all’iscrizione nell’elenco di mediatore familiare, titoli di natura profondamente diversa perché conseguibili all’esito di percorsi formativi differenti e non assimilabili tra loro. Secondo la difesa erariale, non potrebbero infatti porsi sullo stesso piano titoli conseguiti a seguito di percorso formativo di livello universitario specialistico e titoli ottenuti mediante percorso formativo di livello inferiore, qual è il titolo di formazione regionale conseguito all’esito della frequenza di un corso della durata di cinquecento ore. Tale situazione potrebbe peraltro ingannare l’utenza, inducendola a ritenere di livello universitario un mediatore familiare munito invece del solo diploma regionale, con conseguente violazione del principio di tutela dell’utenza, che costituisce uno dei principi fondamentali tutelati dalle leggi statali in materia di attività professionali.
2.- Nel giudizio dinanzi alla Corte si è costituita la Regione Lazio, che ha concluso per l’infondatezza della questione.
Secondo la difesa della Regione, il ricorso muoverebbe dal falso presupposto che la legge regionale impugnata abbia introdotto e disciplinato una nuova professione: quella del “mediatore familiare” e del “coordinatore per la mediazione familiare”. In realtà, la legge regionale impugnata non avrebbe affatto né introdotto né disciplinato una “professione”, ma avrebbe individuato una “figura professionale”, cioè dotata di particolari competenze, destinata ad essere impiegata nell’ambito di strutture pubbliche ed esercitante funzioni pubblicistiche.
Secondo la difesa della Regione, la ratio che ispira l’intero provvedimento normativo è quella di delineare una “figura professionale”, non un “professionista” lavoratore autonomo, operante nell’ambito della mediazione familiare. Tale diversa prospettiva emergerebbe dall’analisi delle singole disposizioni e, in particolare, di quelle che stabiliscono i compiti e le finalità del coordinatore per la mediazione familiare: compiti e finalità di natura essenzialmente pubblicistica, che, come tali, non sono e non possono essere attuati o perseguiti da un professionista lavoratore autonomo.
In particolare, l’art. 1, comma 2, della legge regionale n. 26 del 2008 evidenzierebbe l’aspetto pubblicistico già nella parte in cui prevede le modalità di accesso all’opera di tale soggetto. Si prescrive infatti che il mediatore familiare possa essere “sollecitato” dalle parti a svolgere la sua opera. Tale locuzione verbale – afferma la Regione – sarebbe indice del fatto che la legge prevede, non già il conferimento di un mandato professionale nell’ambito di un contratto di opera professionale, bensì che tale soggetto, il quale opera all’interno di una struttura sanitaria (come chiarito dal successivo art. 3), possa essere richiesto dalle parti di intervenire per “adoperarsi” nel senso indicato dalla norma. La stessa disposizione prevede che l’intervento del mediatore professionale, oltre che sollecitato dalle parti, possa avvenire su invito del giudice o dei servizi sociali comunali o dei consultori o del Garante dell’infanzia e dell’adolescenza.
Anche l’art. 3 della stessa legge regionale, nel disciplinare la figura del coordinatore per la mediazione familiare, prevederebbe in realtà l’attribuzione a tale figura professionale di un vero e proprio ufficio pubblico.
Le finalità che il mediatore familiare è chiamato a svolgere in base all’art. 4 della legge regionale sarebbero ben lontane dall’esercizio di una professione, ai sensi dell’art. 117 Cost.
Quanto all’art. 6 della legge regionale, è bensì vero – osserva la Regione – che esso ha previsto un elenco regionale dei mediatori familiari, ma tale elenco non può considerarsi istitutivo di una professione operante a livello regionale, perché mancherebbero le caratteristiche proprie di un’attività professionale di lavoro autonomo. Secondo la difesa della Regione Lazio, la legge impugnata, pur avendo assegnato al mediatore familiare funzioni (compiti e finalità) esclusivamente pubblicistiche, e pur avendo previsto la sua collocazione presso ogni azienda unità sanitaria locale, non ha tuttavia definito il tipo di rapporto che lega tale soggetto all’ente. La legge non chiarisce infatti se il mediatore sia legato alle ASL da un rapporto di pubblico impiego ovvero se egli abbia un rapporto basato, ad esempio, su un contratto di collaborazione coordinata e continuativa. Queste modalità attuative – precisa la Regione – saranno chiarite da regolamenti attuativi. Intanto, l’elenco di cui all’art. 6 assolve essenzialmente la funzione di individuare una lista di soggetti, dotati di particolari professionalità, dalla quale poter attingere per il loro inserimento nell’ambito delle ASL o eventualmente di altri enti regionali. Un chiaro sintomo di ciò sarebbe dato dal fatto che l’opera di tale figura professionale è a carico delle finanze della Regione, come si desume dall’art. 8, che prescrive che le risorse necessarie all’applicazione della presente legge sono individuate nei limiti delle disponibilità finanziarie di cui al fondo per l’attuazione del piano socio-assistenziale regionale.
Dopo aver ricordato i caratteri essenziali delle professioni propriamente dette, alle quali si riferisce l’art. 117, terzo comma, Cost. ed alla cui base vi è un contratto fra il professionista ed il cliente, la difesa della Regione ribadisce che l’attività del mediatore familiare non trova la sua fonte in un contratto di opera intellettuale, bensì in un sollecito da parte degli interessati (cioè in una richiesta di intervento, quale può rivolgersi solo ad una pubblica autorità) ovvero in un invito del giudice o di enti pubblici. Si è, in ogni caso, ben lontani dal conferimento di un mandato professionale di tipo privatistico. Inoltre, dal complesso delle norme regionali emergerebbe che il mediatore familiare o il coordinatore per la mediazione familiare è, in realtà, un ufficio, nel quale i singoli addetti svolgono la loro opera non in quanto scelti dalle parti o dal giudice o dalle altre autorità, ma in quanto inseriti in un’organizzazione gerarchicamente ordinata, nella quale non assume rilievo esterno l’intuitus personae del singolo operatore. Nel caso della legge in esame, si riscontrerebbe, non l’autonomia del professionista, ma, all’opposto, un vincolo ad agire secondo i compiti e le finalità, di cui agli artt. 3 e 4. Il mediatore familiare avrà, al più, un ambito di discrezionalità, propria dell’agire amministrativo, nell’ambito di obiettivi rigidamente predeterminati. Tutta l’attività che deve svolgere il mediatore familiare è, infine, a beneficio della collettività e, solo indirettamente, si riverbera sugli utenti del servizio.
Da ultimo, la Regione sottolinea che anche altre Regioni hanno emanato regolamenti per disciplinare la professione di mediatore familiare.
3.-In prossimità dell’udienza l’Avvocatura generale dello Stato ha depositato una memoria illustrativa.
Considerato in diritto
1.-Il Presidente del Consiglio dei ministri ha sollevato questione di legittimità costituzionale degli artt. 1, comma 2, 3, 4 e 6 della legge della Regione Lazio 24 dicembre 2008, n. 26 (Norme per la tutela dei minori e la diffusione della cultura della mediazione familiare), nonché delle disposizioni con essi inscindibilmente connesse o dipendenti, e dell’art. 1 della legge della Regione Lazio 24 dicembre 2008, n. 27 (Modifiche alla deliberazione legislativa approvata dal Consiglio regionale nella seduta del 10 dicembre 2008, concernente “Norme per la tutela dei minori e la diffusione della cultura della mediazione familiare”), denunciandone il contrasto con l’art. 117, terzo comma, della Costituzione.
Ad avviso del ricorrente, le citate disposizioni – le quali: recano la definizione generale del ruolo e della figura professionale del mediatore familiare, quale professionista deputato a svolgere, anche su invito del giudice, un ruolo di compiuta mediazione nei procedimenti di separazione della famiglia e della coppia nell’interesse dei figli; prevedono e disciplinano la particolare figura di mediatore familiare costituita dal coordinatore per la mediazione familiare (istituito presso ogni ASL), del quale stabiliscono i compiti e le finalità, diretti da un lato a realizzare progetti di politiche efficaci a tutela della famiglia e dall’altro a costituire un punto di riferimento per i tribunali e i magistrati che si occupano di separazioni che coinvolgono figli minori; istituiscono, presso l’assessorato regionale competente in materia di politiche sociali, l’elenco regionale dei mediatori familiari e recano la analitica disciplina dei requisiti per l’accesso all’elenco stesso – si porrebbero in contrasto con il principio fondamentale in materia di regolamento delle professioni, in base al quale spetta esclusivamente allo Stato l’individuazione delle figure professionali con i relativi profili e i titoli abilitanti.
2.-La questione è fondata.
2.1.- Con la legge n. 26 del 2008 la Regione Lazio pone una regolamentazione complessiva della mediazione familiare, individuata – secondo la definizione che ne dà l’art. 1 – come il «percorso che sostiene e facilita la riorganizzazione della relazione genitoriale nell’ambito di un procedimento di separazione della famiglia e della coppia alla quale può conseguire una modifica delle relazioni personali tra le parti», e si propone come obiettivi (art. 2) la tutela della «famiglia e della coppia con prole come principale nucleo di socializzazione», il sostegno alla genitorialità, il mantenimento, in caso di separazione, dell’affidamento dei figli «ad entrambi i genitori, mediante l’assunzione di accordi liberamente sottoscritti dalle parti che tengano conto della necessità di tutelare l’interesse morale e materiale dei figli».
In questo quadro, con le norme impugnate (della stessa legge n. 26 del 2008 e della coeva legge n. 27 del 2008, recante un articolo unico a modifica dell’art. 6 della legge n. 26 del 2008) la Regione: (a) individua nel mediatore familiare colui che, «sollecitato dalle parti o su invito del giudice o dei servizi sociali comunali o dei consultori o del Garante dell’infanzia e dell’adolescenza, si adopera, nella garanzia della riservatezza e in autonomia dall’ambito giudiziario, affinché i genitori elaborino personalmente un programma di separazione soddisfacente per loro e per i figli, nel quale siano specificati i termini della cura, dell’educazione e della responsabilità verso i figli minori»; (b) istituisce, presso ogni azienda sanitaria locale, «la figura del coordinatore per la mediazione familiare avente la qualifica di mediatore familiare», con il compito di «acquisire dati relativi alla condizione familiare attraverso indagini, studi e ricerche presso gli enti locali, i tribunali, i servizi sociali, le associazioni di volontariato, le forze dell’ordine, le scuole e i consultori», di coadiuvare la Regione «nella progettazione di politiche efficaci di tutela della vita della famiglia e della coppia e di sostegno alla genitorialità responsabile», di «costituire un punto di riferimento prioritario per i tribunali», di avviare un dialogo con tutti coloro, compresi i magistrati, che «si occupano di situazioni di separazione “disfunzionali” che vedano il coinvolgimento di figli minori»; (c) stabilisce le finalità del coordinatore per la mediazione familiare («rispondere alle esigenze di ascolto e di aiuto che provengono dalle famiglie e dalle coppie»; offrire un punto di riferimento «per la risoluzione dei conflitti relazionali, con particolare riferimento alle fasi della separazione, del divorzio e della cessazione della convivenza»; «raccordarsi con le istituzioni presenti sul territorio»; «garantire un supporto alla progettazione di interventi e servizi sul territorio»; «identificare le aree a rischio»; «attuare azioni positive per la promozione della pariteticità»); (d) istituisce, «presso l’assessorato regionale competente in materia di politiche sociali, l’elenco regionale dei mediatori professionali», stabilendo che ad esso «possono iscriversi coloro che sono in possesso di laurea specialistica in discipline pedagogiche psicologiche, sociali o giuridiche nonché di idoneo titolo universitario, quale master, specializzazione o perfezionamento, di durata biennale, di mediatore familiare oppure di specializzazione professionale conseguita a seguito della partecipazione ad un corso, riconosciuto dalla Regione Lazio, della durata minima di cinquecento ore»; «coloro che, in possesso della laurea specialistica in discipline pedagogiche psicologiche, sociali o giuridiche alla data di entrata in vigore della […] legge, abbiano svolto per almeno due anni, nel quinquennio antecedente l’entrata in vigore della legge, attività di mediazione familiare da comprovare sulla base di idonea documentazione».
2.2.- L’impianto complessivo, lo scopo ed il contenuto precipuo delle disposizioni impugnate rendono palese che l’oggetto di esse deve essere ricondotto propriamente alla materia concorrente delle “professioni” (art. 117, terzo comma, Cost.).
Nello scrutinio di disposizioni legislative regionali aventi ad oggetto la regolamentazione di attività di tipo professionale, questa Corte ha ripetutamente affermato che «la potestà legislativa regionale nella materia concorrente delle “professioni” deve rispettare il principio secondo cui l’individuazione delle figure professionali, con i relativi profili e titoli abilitanti, è riservata, per il suo carattere necessariamente unitario, allo Stato, rientrando nella competenza delle Regioni la disciplina di quegli aspetti che presentano uno specifico collegamento con la realtà regionale. Tale principio, al di là della particolare attuazione ad opera di singoli precetti normativi, si configura infatti quale limite di ordine generale, invalicabile dalla legge regionale» (sentenze n. 153 e n. 424 del 2006, n. 57 del 2007, n. 138 e n. 328 del 2009). Ha, altresì, precisato che la «istituzione di un registro professionale e la previsione delle condizioni per la iscrizione in esso hanno già, di per sé, una funzione individuatrice della professione, preclusa alla competenza regionale» (sentenze n. 93 del 2008, n. 138 e n. 328 del 2009).
Ora, la legislazione statale, con l’art. 155-sexies del codice civile, aggiunto dalla legge 8 febbraio 2006, n. 54, ha soltanto accennato alla attività di mediazione familiare, senza prevedere alcuna specifica professione, stabilendo che «qualora ne ravvisi l’opportunità, il giudice, sentite le parti e ottenuto il loro consenso, può rinviare l’adozione dei provvedimenti di cui all’art. 155 per consentire che i coniugi, avvalendosi di esperti, tentino una mediazione per raggiungere un accordo, con particolare riferimento alla tutela dell’interesse morale e materiale dei figli», ma, a tutt’oggi, non ha introdotto la figura professionale del mediatore familiare, né stabilito i requisiti per l’esercizio dell’attività.
Le disposizioni denunciate danno una definizione della mediazione familiare, disciplinano le caratteristiche del mediatore familiare e stabiliscono gli specifici requisiti per l’esercizio dell’attività, con la previsione di un apposito elenco e delle condizioni per la iscrizione in esso. Ma, così facendo, invadono una competenza sicuramente statale.
Non pare dubbio, infatti, che, attraverso la predetta disciplina, siano stati individuati i titoli abilitanti per lo svolgimento in ambito regionale della professione di mediatore familiare, in tal modo travalicando, secondo quanto dianzi precisato, gli ambiti di competenza legislativa regionale in materia di professioni.
Non rileva la circostanza – sottolineata dalla difesa della resistente – che il mediatore familiare non sarebbe un professionista autonomo, ma una figura professionale, legata alla Regione, alla quale sarebbero affidati compiti e funzioni di rilievo pubblicistico.
Per un verso, infatti, la competenza dello Stato ad individuare i profili professionali ed i requisiti necessari per il relativo esercizio spetta anche quando l’attività professionale sia destinata a svolgersi in forma di lavoro dipendente (artt. 1, comma 3, e 2, comma 3, del d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 30, recante “Ricognizione dei principi fondamentali in materia di professioni, ai sensi dell’art. 1 della legge 5 giugno 2003, n. 131”); per l’altro, «l’individuazione di una specifica area caratterizzante la “professione” è ininfluente ai fini della regolamentazione delle competenze derivante dall’applicazione nella materia in esame del terzo comma dell’art. 117 Cost.» (sentenza n. 40 del 2006, nonché, tra le altre, sentenze n. 355 e n. 424 del 2005). Su tali premesse,
questa Corte (sentenza n. 153 del 2006) ha già dichiarato l’illegittimità costituzionale di una normativa regionale che disciplinava figure professionali alle quali la Regione faceva ricorso per il funzionamento del sistema integrato di interventi e servizi sociali.
3.- L’intera legge regionale n. 26 del 2008 è inscindibilmente connessa, per il suo contenuto, con le disposizioni specificamente censurate dal ricorrente e pertanto la declaratoria di illegittimità costituzionale deve essere estesa, in via consequenziale, anche agli artt. 1, comma 1, 2, 5, 7 e 8, non oggetto di impugnazione.
Per Questi Motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
1) dichiara l’illegittimità costituzionale degli artt. 1, comma 2, 3, 4 e 6 della legge della Regione Lazio 24 dicembre 2008, n. 26 (Norme per la tutela dei minori e la diffusione della cultura della mediazione familiare);
2) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 1 della legge della Regione Lazio 24 dicembre 2008, n. 27 (Modifiche alla deliberazione legislativa approvata dal Consiglio regionale nella seduta del 10 dicembre 2008, concernente “Norme per la tutela dei minori e la diffusione della cultura della mediazione familiare”);
3) dichiara, ai sensi dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, l’illegittimità costituzionale in via consequenziale degli artt. 1, comma 1, 2, 5, 7 e 8 della legge della Regione Lazio 24 dicembre 2008, n. 26.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12 aprile 2010.