Un emendamento necessario quello del Governo inserito nella manovra che riforma il processo civile con l’obiettivo di accelerare i tempi di risoluzione delle controversie pendenti.
Facciamo un pò di chiarezza in proposito – dice Pecoraro presidente dell’Associazione Nazionale dell’Arbitrato e la Conciliazione ( A.N.P.A.R).
Dopo mesi di chiacchiere ed interpretazioni sulla mediazione, entrata in vigore il 20 marzo, il Governo ha capito che il continuo rinviare – ad estendere l’obbligatorietà, a tutti i diritti disponibili dei cittadini, mediante il tentativo di conciliazione, così come è stato fatto per le controversie civile e commerciale transfrontaliere, di cui alla Direttiva Europea 52/2008 – può mettere in pericolo il buon esito dell’istituzione del nuovo istituto giuridico.
Infatti, l’emendamento (comma 18 della manovra) prevede che nei procedimenti civili che pendono dinanzi alla corte d’appello, il giudice, su istanza di parte anche con decreto pronunziato fuori udienza, rinvia il processo per un periodo di sei mesi per l’espletamento del procedimento di mediazione. Viene contestualmente assegnato alla parte richiedente il termine di 15 giorni per la presentazione della domanda di mediazione. Le istanze devono essere proposte, a pena di decadenza, entro tre mesi dall’entrata in vigore della legge. Questo comma – continua Pecoraro – non fa altro che rendere operativo quanto già inserito al comma 2 dell’art. 5 del Decreto Legislativo 28/2010, con una differenza che con l’approvazione di questo comma non è consentita la discrezionalità al giudice, anche in sede di giudizio di appello, “valutare la natura della causa, lo stato dell’istruzione e il comporta! mento delle parti, e invitare le stesse a procedere la conciliazione” spetterà alla parte che ha interesse o alle parti congiuntamente cercare una soluzione bonaria delle controversie, presentando, a pena di decadenza, entro tre mesi dall’entrata in vigore “della manovra” istanza per l’avvio di un tentativo di mediazione. La conseguenza? – dice Pecoraro – è quella che per tutte le controversie pendenti, anche per quelle in appello, “di fatto” diventa obbligatorio tentare la conciliazione. Dunque, se le parti conciliano usufruiranno di tutte i benefici già in atto con la legge 28/2010, se, invece, non conciliano, la parte che ha fatto fallire la conciliazione, pur avendo ragione potrebbe vedersi accollare tutte le spese processuali dal giudice ed essere tenuto al pagamento anche di ulteriori sanzioni. Legislazione premiale per tutti, conferma Pecoraro – prestigioso successo del Governo nel ribadire che la deflazione dei processi pendenti avviene attraverso la mediazione civile che deve essere imposta e non proposta, così come vorrebbero taluni che hanno difficoltà a comprendere la grande portata di questo nuovo istituto giuridico.
Facciamo un pò di chiarezza in proposito – dice Pecoraro presidente dell’Associazione Nazionale dell’Arbitrato e la Conciliazione ( A.N.P.A.R).
Dopo mesi di chiacchiere ed interpretazioni sulla mediazione, entrata in vigore il 20 marzo, il Governo ha capito che il continuo rinviare – ad estendere l’obbligatorietà, a tutti i diritti disponibili dei cittadini, mediante il tentativo di conciliazione, così come è stato fatto per le controversie civile e commerciale transfrontaliere, di cui alla Direttiva Europea 52/2008 – può mettere in pericolo il buon esito dell’istituzione del nuovo istituto giuridico.
Infatti, l’emendamento (comma 18 della manovra) prevede che nei procedimenti civili che pendono dinanzi alla corte d’appello, il giudice, su istanza di parte anche con decreto pronunziato fuori udienza, rinvia il processo per un periodo di sei mesi per l’espletamento del procedimento di mediazione. Viene contestualmente assegnato alla parte richiedente il termine di 15 giorni per la presentazione della domanda di mediazione. Le istanze devono essere proposte, a pena di decadenza, entro tre mesi dall’entrata in vigore della legge. Questo comma – continua Pecoraro – non fa altro che rendere operativo quanto già inserito al comma 2 dell’art. 5 del Decreto Legislativo 28/2010, con una differenza che con l’approvazione di questo comma non è consentita la discrezionalità al giudice, anche in sede di giudizio di appello, “valutare la natura della causa, lo stato dell’istruzione e il comporta! mento delle parti, e invitare le stesse a procedere la conciliazione” spetterà alla parte che ha interesse o alle parti congiuntamente cercare una soluzione bonaria delle controversie, presentando, a pena di decadenza, entro tre mesi dall’entrata in vigore “della manovra” istanza per l’avvio di un tentativo di mediazione. La conseguenza? – dice Pecoraro – è quella che per tutte le controversie pendenti, anche per quelle in appello, “di fatto” diventa obbligatorio tentare la conciliazione. Dunque, se le parti conciliano usufruiranno di tutte i benefici già in atto con la legge 28/2010, se, invece, non conciliano, la parte che ha fatto fallire la conciliazione, pur avendo ragione potrebbe vedersi accollare tutte le spese processuali dal giudice ed essere tenuto al pagamento anche di ulteriori sanzioni. Legislazione premiale per tutti, conferma Pecoraro – prestigioso successo del Governo nel ribadire che la deflazione dei processi pendenti avviene attraverso la mediazione civile che deve essere imposta e non proposta, così come vorrebbero taluni che hanno difficoltà a comprendere la grande portata di questo nuovo istituto giuridico.