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Risoluzione del 29/11/2011 n. 113 – Agenzia delle Entrate – Direzione Centrale Normativa
Interpello – articolo 11, legge 27 luglio 2000, n. 212. Trattamento tributario dell’attività di mediazione svolta ai sensi del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28
Testo:
Con l’interpello specificato in oggetto è stato esposto il seguente
QUESITO
Il Consiglio Nazionale Forense, organismo di rappresentanza istituzionale e generale dell’Avvocatura ai sensi del Regio Decreto Legge 27 novembre 1933, n. 1578 e del Regio Decreto 22 gennaio 1934, n. 37, riferisce che, in base a quanto previsto dall’art. 18 del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28, i singoli consigli degli ordini degli avvocati possono istituire, presso ciascun tribunale, organismi aventi la funzione di gestire il procedimento di mediazione finalizzato, secondo le disposizioni dello stesso D.Lgs. n. 28 del 2010, alla conciliazione di controversie civili e commerciali vertenti su diritti disponibili.
Il Consiglio Nazionale Forense fa presente, in particolare, che gli organismi di mediazione in argomento possono essere istituiti dai singoli consigli degli ordini degli avvocati:
A) sia quali dipartimenti degli stessi consigli degli ordini;
B) sia quali enti autonomi rispetto ai singoli consigli degli ordini.
Ciò posto, l’ente istante chiede di conoscere, in relazione ad ambedue le ipotesi [sub A) e B)] di organismi di mediazione costituiti dai consigli degli ordini degli avvocati, il trattamento tributario sia ai fini IRES che IVA:
1) dei contributi erogati in favore degli organismi di mediazione dai singoli consigli degli ordini o da altri enti pubblici;
2) dei proventi conseguiti, nell’esercizio della propria attività, dagli organismi di mediazione di cui trattasi, derivanti dagli importi versati dai clienti che intendono avvalersi dell’istituto della mediazione (di seguito “parti”).
SOLUZIONE INTERPRETATIVA PROSPETTATA DALL’INTERPELLANTE
Il Consiglio Nazionale Forense ritiene che l’attività svolta dagli organismi di mediazione istituiti quali dipartimenti dei singoli consigli degli ordini degli avvocati, [ipotesi sub A)], “in quanto attribuita ex lege” ai consigli degli ordini, costituisce “a tutti gli effetti attività istituzionale” non avente carattere commerciale.
Nell’ipotesi in cui l’attività di mediazione venga svolta da organismi di mediazione istituiti dai consigli degli ordini territoriali degli avvocati quali enti autonomi rispetto a questi ultimi [ipotesi sub B)], l’ente interpellante è dell’avviso che, anche in tal caso, detta attività non abbia natura commerciale per le seguenti ragioni:
– l’attività posta in essere dall’organismo di mediazione “si confà pienamente all’attività istituzionale del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati, trattandosi di un’attività di gestione di un procedimento stragiudiziale diretto alla ricerca di un accordo amichevole per la composizione di una controversia, ed alla formulazione di una proposta per la risoluzione della stessa”;
– “i mezzi ed il personale impiegati dall’Organismo nell’espletamento dell’attività di gestione della mediazione per legge (…) sono quelli propri del Consiglio dell’Ordine che lo ha istituito”;
– “l’attività di mediazione nei confronti degli utenti-clienti non viene direttamente svolta dall’Organismo, ma dal singolo mediatore iscritto all’Organismo di mediazione ed assegnato alla singola pratica”.
Ciò posto, in relazione al quesito 1), l’ente istante ritiene che:
nell’ipotesi sub A), i contributi versati all’organismo di mediazione dal consiglio dell’ordine di appartenenza siano fiscalmente irrilevanti trattandosi di movimentazioni interne di denaro;
nell’ipotesi sub B), i contributi percepiti dagli organismi di mediazione di cui trattasi per l’esercizio della propria attività non costituiscano reddito imponibile ai fini IRES trattandosi di somme afferenti ad un’attività non commerciale.
In merito al quesito 2), il Consiglio Nazionale Forense ritiene che gli importi versati dalle parti agli organismi di cui trattasi in relazione all’attività di mediazione da essi svolta siano, sia relativamente alla fattispecie sub A) che a quella sub B):
– esclusi da imposizione ai fini IRES ai sensi dell’art. 143, comma 1, del testo unico delle imposte sui redditi (TUIR) approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, qualora non eccedano i costi sostenuti per l’attività di mediazione;
– fuori del campo di applicazione dell’IVA ai sensi dell’art. 4, quarto comma, del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, in quanto percepiti nell’esercizio di un’attività non avente natura commerciale.
PARERE DELL’AGENZIA DELLE ENTRATE
Considerazioni preliminari in materia di IRES ed IVA
La soluzione ai quesiti oggetto di interpello richiede, preliminarmente, l’esame delle disposizioni recate, ai fini IRES, dal Testo unico delle imposte sui redditi (TUIR) approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, e, agli effetti dell’IVA, dal decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633.
Rientrano tra i soggetti passivi dell’imposta sul reddito delle società (IRES), per quanto concerne gli enti residenti nel territorio dello Stato, le società di capitali, gli enti pubblici e privati diversi dalle società che hanno per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciali (cc.dd. enti commerciali) e gli enti pubblici e privati diversi dalle società che non hanno per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciale (cc.dd. enti non commerciali) [v. art. 73, comma 1, del TUIR].
Presupposto applicativo dell’IRES è il possesso dei redditi in denaro o in natura rientranti nelle categorie reddituali disciplinate nell’art. 6 del TUIR (v. art. 72 del TUIR).
Tra le categorie reddituali elencate dall’art. 6 del TUIR è ricompresa quella dei redditi di impresa alla quale sono riconducibili i redditi che derivano dall’“esercizio di imprese” commerciali (v. artt. 6, comma 1, lett. e), e 55, comma 1, del TUIR).
Agli effetti dell’IVA rientrano, in via generale, nel campo di applicazione dell’imposta le cessioni di beni e le prestazioni di servizi effettuate a titolo oneroso nell’esercizio di imprese o nell’esercizio di arti e professioni (v. artt. 1, 3, 4 e 5 del DPR n. 633 del 1972).
Per “esercizio di imprese” si intende, sia ai fini IRES (v. art. 55, commi 1 e 2, lett. a), del TUIR), che ai fini IVA (v. art. 4, primo comma, del DPR n. 633 del 1972), l’esercizio per professione abituale, ancorché non esclusiva, fra l’altro, delle attività commerciali di cui all’articolo 2195 del codice civile, anche se non organizzate in forma d’impresa, nonché l’esercizio di attività, organizzate in forma di impresa, dirette alla prestazione di servizi che non rientrano nell’articolo 2195 del codice civile.
In particolare, ai fini IVA, le disposizioni del DPR n. 633 del 1972 che individuano le attività economiche rilevanti agli effetti dell’imposta costituiscono recepimento, nell’ordinamento nazionale, della disciplina comunitaria in materia di imposta sul valore aggiunto recata dalla Direttiva CE del Consiglio 28 novembre 2006, n. 112 (con la quale è stata operata la rifusione della Direttiva CEE 17 maggio 1977, n. 388).
La normativa comunitaria stabilisce che rientra nella nozione di “soggetto passivo” “chiunque esercita, in modo indipendente e in qualsiasi luogo, un’attività economica, indipendentemente dallo scopo o dai risultati di detta attività” e che si considera “attività economica” “ogni attività di produzione, di commercializzazione o di prestazione di servizi, comprese le attività (…) agricole (…)” nonché, in particolare, “lo sfruttamento di un bene materiale o immateriale per ricavarne introiti aventi carattere di stabilità” (v. art. 9 della Direttiva CE n. 112 del 2006).
Come chiarito dalla giurisprudenza comunitaria l’analisi delle definizioni di soggetto passivo e di attività economiche “mette in rilievo l’ampiezza della sfera di applicazione della nozione di attività economiche e il suo carattere obiettivo, nel senso che l’attività viene considerata di per sé, indipendentemente dai suoi scopi o dai suoi risultati” (cfr., fra l’altro, Corte di giustizia, sentenze 26 giugno 2007, Causa C-284/04, punto 35, 6 ottobre 2009, Causa C-267/08, punto 17, e 29 ottobre 2009, Causa C-246/08, punto 37).
Sempre in merito alla nozione di attività economica, relativamente al profilo dell’onerosità del servizio, la Corte di Giustizia CE ha chiarito che, come regola generale, “un’attività è considerata economica quando presenta un carattere stabile ed è svolta a fronte di un corrispettivo percepito dall’autore della prestazione” (Corte di giustizia, sentenze 13 dicembre 2007, Causa C-408/06, punto 18, e 26 marzo 1987, Causa C -235/85, punto 11).
Si evidenzia, inoltre, che, in merito alla definizione del requisito soggettivo ai fini IVA per gli organismi di diritto pubblico, la stessa Direttiva CE n. 112 del 2006 stabilisce che gli stessi “non sono considerati soggetti passivi per le attività od operazioni che esercitano in quanto pubbliche autorità, anche quando, in relazione a tali attività od operazioni, percepiscono diritti, canoni, contributi o retribuzioni” (v. art. 13, paragrafo 1, Direttiva CE n. 112 del 2006), vale a dire per le attività svolte secondo il regime proprio degli enti pubblici e non in base agli stessi strumenti giuridici utilizzati dagli operatori economici privati (cfr. sentenza Corte di Giustizia CE 14 dicembre 2000, causa C-446/98).
Detti enti devono, tuttavia, essere considerati soggetti passivi agli effetti dell’IVA per le attività svolte in veste di pubblica autorità “quando il loro non assoggettamento provocherebbe distorsioni della concorrenza di una certa importanza” (v. art. 13, par. 1, della Direttiva CE n. 112 del 2006).
Analisi delle disposizioni previste per l’istituto della mediazione
Al fine di fornire soluzione ai quesiti prospettati dal Consiglio Nazionale Forense, occorre esaminare la disciplina dell’istituto della mediazione per la conciliazione delle controversie civili e commerciali facendo riferimento alle seguenti fonti normative:
art. 60 della legge 18 giugno 2009, n. 69, recante “Delega al Governo in materia di mediazione e di conciliazione delle controversie civili e commerciali” (di seguito, “legge delega”);
– decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28 (di seguito, “Decreto”), con cui è stata esercitata la predetta delega;
decreto del Ministro delle Giustizia 18 ottobre 2010, n. 180 (di seguito, “Regolamento”) emanato in attuazione dell’art. 16 del Decreto.
La normativa sopra citata definisce la “mediazione” quale “attività (…) svolta da un terzo imparziale e finalizzata ad assistere due o più soggetti sia nella ricerca di un accordo amichevole per la composizione di una controversia, sia nella formulazione di una proposta per la risoluzione della stessa”, mentre configura la “conciliazione” quale “composizione di una controversia a seguito dello svolgimento della mediazione” [art. 1, comma 1, lettere a) e c) del Decreto].
La mediazione è “svolta da organismi professionali e indipendenti, stabilmente destinati all’erogazione del servizio di conciliazione” iscritti in un apposito “Registro degli organismi di conciliazione” (di seguito, “Registro”) istituito presso il Ministero della Giustizia [art. 60, comma 3, lettere b) e c), della legge delega].
L’organismo di mediazione è definito come “l’ente pubblico o privato, ovvero la sua articolazione, presso cui può svolgersi il procedimento di mediazione”, intendendosi per “ente pubblico” la “persona giuridica di diritto pubblico interno, comunitario, internazionale o straniero” e per “ente privato” qualsiasi “soggetto di diritto privato, diverso dalla persona fisica” [art. 1, comma 1, lettera d), del Decreto e art. 1, comma 1, lettere f), q) ed r) del Regolamento].
Il “mediatore” è definito, invece, quale “la persona o le persone fisiche che, individualmente o collegialmente, svolgono la mediazione” [art. 1, comma 1, lettera b), del Decreto e art. 1, comma 1, lettera d), del Regolamento].
Per quanto concerne gli “organismi di mediazione”, è stabilito, in via generale, che “gli enti pubblici o privati, che diano garanzie di serietà ed efficienza, sono abilitati a costituire organismi deputati, su istanza della parte interessata, a gestire il procedimento di mediazione” nelle materie indicate dal Decreto (art. 16, comma 1, del Decreto).
In particolare, per i consigli degli ordini degli avvocati è prevista la possibilità di “istituire organismi presso ciascun tribunale, avvalendosi di proprio personale e utilizzando i locali loro messi a disposizione dal presidente del tribunale” (art. 60, comma 3, lettera e), della legge delega e art. 18 del Decreto).
E’ prevista, altresì, per i consigli degli ordini professionali, la possibilità di istituire organismi speciali, per le materie riservate alla loro competenza, previa autorizzazione del Ministero della Giustizia (art. 19 del Decreto).
Gli organismi di conciliazione devono essere iscritti in un apposito registro istituito presso il Ministero della Giustizia la cui formazione e tenuta sono disciplinati dal Regolamento (art. 16, comma 2, del Decreto).
Il Regolamento elenca, tra l’altro, i seguenti requisiti necessari per l’iscrizione nel registro (art. 4, comma 2, del Regolamento):
– la capacità finanziaria (possedere un capitale non inferiore a 10.000 euro) e organizzativa del richiedente (poter svolgere l’attività di mediazione in almeno due regioni italiane o in almeno due province della medesima regione) [art. 4, comma 2, lettera a), del Regolamento];
– il possesso da parte del richiedente di una polizza assicurativa di importo non inferiore a 500.000,00 euro per la responsabilità a qualunque titolo derivante dallo svolgimento dell’attività di mediazione [art. 4, comma 2, lettera b), del Regolamento];
– la trasparenza amministrativa e contabile dell’organismo, “ivi compreso il rapporto giuridico ed economico tra l’organismo e l’ente di cui eventualmente costituisca articolazione interna”, ai fini della dimostrazione della necessaria autonomia finanziaria e funzionale [art. 4, comma 2, lettera d), del Regolamento];
– il numero di mediatori, non inferiore a cinque, che hanno dichiarato la disponibilità a svolgere le funzioni di mediazione [art. 4, comma 2, lettera f), del Regolamento].
Il riscontro dei predetti requisiti assume eccezionali modalità applicative per gli organismi costituiti, anche in forma associata, dalle camere di commercio e dai consigli degli ordini professionali (tra cui i consigli degli ordini degli avvocati) i quali sono iscritti nel registro a semplice domanda, all’esito della verifica della sussistenza del solo requisito di cui all’art. 4, comma 2, lettera b), del Regolamento [art. 60, comma 3, lettera f), della legge delega, art. 18 del Decreto e art. 4, comma 4, del Regolamento].
In sostanza, per tale ultima tipologia di organismi di mediazione, in quanto costituiti da consigli degli ordini professionali, è stata prevista una procedura agevolata per l’iscrizione al Registro in quanto la sussistenza dei requisiti afferenti, fra l’altro, la capacità finanziaria e organizzativa nonché la trasparenza amministrativa e contabile, non necessita di apposita preventiva verifica perché ritenuta ex lege implicitamente esistente. Tali organismi, quindi, devono soltanto fornire idonea garanzia, mediante la stipulazione di una polizza assicurativa, per la responsabilità a qualunque titolo derivante dallo svolgimento dell’attività di mediazione.
Le predette considerazioni assumono rilievo ai fini in esame dal momento che evidenziano, da un lato, la volontà del legislatore di distinguere gli organismi di mediazione istituiti dai consigli degli ordini professionali rispetto agli altri organismi di mediazione, dall’altro, chiariscono che tale distinzione rileva soltanto nella fase antecedente all’iscrizione nel Registro, vale a dire la fase procedurale atta a consentire al responsabile del Registro di verificare la professionalità e l’efficienza del richiedente. Una volta superata tale fase, poi, non pare assumere più alcun rilievo la distinzione tra le varie tipologie di organismi di mediazione dal momento che a tutti, indistintamente, è consentito svolgere la medesima attività di mediazione.
Tale attività di mediazione, infatti, si articola in un apposito procedimento che si svolge in base al regolamento di procedura adottato da ciascun organismo (art. 3 del Decreto e art. 7 del Regolamento).
Ogni organismo deve istituire un “registro degli affari di mediazione” con le annotazioni del numero d’ordine progressivo, dei dati identificativi delle parti, dell’oggetto della mediazione, del mediatore designato, della durata del procedimento e del relativo esito (art. 12 del Regolamento).
All’atto della presentazione della domanda di mediazione, il responsabile dell’organismo designa un mediatore e fissa il primo incontro tra le parti. Il procedimento si svolge senza formalità presso la sede dell’organismo di mediazione o nel luogo indicato nel regolamento di procedura dell’organismo (art. 8, commi 1 e 2, del Decreto).
Al termine del procedimento di mediazione il mediatore redige apposito verbale sia nell’ipotesi di esito positivo del procedimento (raggiungimento di un accordo amichevole tra le parti o adesione delle parti alla proposta di conciliazione del mediatore) sia nel caso in cui non si realizzi alcuna conciliazione tra le parti. Tale processo verbale è depositato presso la segreteria dell’organismo (art. 11 del Decreto).

Nell’ambito del procedimento di mediazione il mediatore è obbligato, fra l’altro, a corrispondere immediatamente a ogni richiesta organizzativa del responsabile dell’organismo. Su istanza di parte il responsabile dell’organismo provvede alla eventuale sostituzione del mediatore (art. 14 del Decreto).
Quanto ai rapporti economici con le parti che ricorrono alla mediazione è previsto, anzitutto, un espresso divieto per il mediatore di percepire compensi direttamente dalle parti stesse (art. 14 del Decreto).
A fronte del servizio di mediazione, infatti, le parti corrispondono un compenso all’organismo di mediazione. Detto compenso include sia le “spese di avvio del procedimento” (ammontanti a euro 40 per ciascuna parte) sia le “spese di mediazione” vere e proprie (art. 16, comma 2, del Decreto e art. 16 del Regolamento). Queste ultime, a loro volta, comprendono l’onorario che l’organismo corrisponderà al mediatore per l’intero procedimento di mediazione.
Dalla ricostruzione normativa sopra effettuata emergono i seguenti elementi rilevanti ai fini della qualificazione fiscale dell’attività di mediazione:
– gli organismi di mediazione possono assumere la forma giuridica sia di enti di diritto pubblico sia di enti di diritto privato (società, associazioni, altri enti, ecc.);
– gli organismi di mediazione possono essere istituiti sia come soggetti autonomi che come articolazioni dei predetti enti;
– anche i consigli degli ordini degli avvocati possono istituire organismi di mediazione, sia quali articolazioni interne degli stessi consigli degli ordini sia quali enti autonomi rispetto ai singoli consigli degli ordini;
– gli organismi di mediazione sono deputati a gestire il procedimento di mediazione e sono “stabilmente destinati all’erogazione del servizio di conciliazione” a fronte del quale viene corrisposto dalle parti un compenso nei confronti dello stesso organismo di mediazione;
– ai fini dello svolgimento dell’attività di mediazione e dell’iscrizione nell’apposito registro gli organismi devono soddisfare, fra l’altro, i requisiti del possesso di una congrua “capacità finanziaria e organizzativa” e della disponibilità minima di mediatori; la sussistenza di tali requisiti non è oggetto di specifica verifica per gli organismi di mediazione costituiti da consigli degli ordini professionali atteso che, per detti organismi, è stata ritenuta ex lege implicitamente sussistente;
– l’attività di mediazione, svolta personalmente dal mediatore, rappresenta solo un momento nel quale si articola la gestione del più complesso procedimento di mediazione che fa capo, relativamente agli aspetti regolamentari, organizzativi e finanziari, all’organismo di mediazione;
– il rapporto contrattuale avente ad oggetto il servizio di mediazione si instaura, anche per quanto attiene ai rapporti economici relativi ai compensi per l’attività di mediazione, solo ed unicamente tra l’organismo di mediazione e le parti che hanno preso parte al procedimento di mediazione, restando estraneo a detto rapporto il mediatore, che non può ricevere alcun compenso dalle parti stesse;
– tra le parti e il mediatore non si instaura, pertanto, alcun rapporto contrattuale diretto;
– il mediatore ha un rapporto contrattuale diretto solo con l’organismo di mediazione dal quale percepisce un onorario (la cui misura è indipendente dal numero degli incontri svolti con le parti) costituente solo uno degli elementi cui sono parametrate le spese di mediazione addebitate alle parti.

Disciplina fiscale dell’attività di mediazione
Dalle considerazioni sopra svolte emerge che l’attività di mediazione si qualifica come attività economica organizzata diretta alla prestazione di servizi, verso corrispettivo, avente ad oggetto l’assistenza di due o più parti nella ricerca di una conciliazione extragiudiziale di controversie in materia civile e commerciale su diritti disponibili.
Da quanto sopra esposto consegue, sotto il profilo fiscale, che l’attività di mediazione deve qualificarsi, sia ai fini dell’imposizione diretta che dell’IVA, come attività organizzata in forma d’impresa diretta alla prestazione di servizi ai sensi, rispettivamente, dell’art. 55 del TUIR e dell’art. 4 del DPR n. 633 del 1972.
In particolare, l’attività realizzata dall’organismo di mediazione – organizzata in forma d’impresa e diretta alla prestazione di servizi che non rientrano nell’art. 2195 del codice civile – è riconducibile nell’ambito applicativo, ai fini IRES, della lettera a) del comma 2 del citato art. 55 del TUIR e, ai fini IVA, dell’art. 4, primo comma, del DPR n. 633 del 1972.
Pertanto, contrariamente a quanto ritenuto dal Consiglio Nazionale Forense, non può trovare applicazione, agli effetti dell’IRES, l’art. 143, comma 1, secondo periodo, del TUIR.
L’inquadramento fiscale agli effetti dell’IRES e dell’IVA sopra delineato vale anche nell’ipotesi di attività di mediazione posta in essere dai consigli degli ordini degli avvocati mediante l’istituzione di appositi organismi di mediazione, sia quali articolazioni interne degli stessi consigli degli ordini [ipotesi sub A) riportata nel Quesito], sia quali enti autonomi rispetto ai singoli consigli degli ordini [ipotesi sub B) riportata nel Quesito].
L’attività di mediazione, infatti, non può considerarsi riconducibile tra le attività non commerciali di tipo pubblicistico (tenuta dell’albo degli avvocati e del registro dei praticanti; verifica della pratica forense; gestione dei procedimenti disciplinari, ecc.) lo svolgimento delle quali contraddistingue le finalità istituzionali tipiche dei consigli degli ordini degli avvocati quali enti pubblici non economici.
Per quanto riguarda, in particolare, il regime fiscale agli effetti dell’IVA, è il caso di precisare che la disciplina normativa sopra richiamata in materia di mediazione porta ad escludere che l’attività di mediazione posta in essere dagli organismi di mediazione costituti dai consigli degli ordini degli avvocati (sia quali articolazioni interne sia quali enti autonomi) soddisfi i requisiti della pubblica autorità di cui al citato art. 13 della Direttiva CE n. 112 del 2006.
Ciò posto, relativamente al trattamento tributario dei contributi erogati in favore degli organismi di mediazione dai singoli consigli degli ordini o da altri enti pubblici [quesito 1)] si evidenzia, agli effetti dell’IRES, che tali somme concorrono, quali componenti positivi, alla determinazione del reddito d’impresa.
Tale soluzione non trova applicazione nell’ipotesi di somme destinate dal consiglio dell’ordine all’attività di mediazione svolta dall’organismo istituito quale proprio dipartimento [ipotesi sub A) riportata nel Quesito] trattandosi, in tal caso, di movimentazioni di denaro, nell’ambito dello stesso soggetto, aventi rilevanza esclusivamente sotto il profilo patrimoniale come apporto di capitale ad un’attività d’impresa da parte del titolare della stessa.
Resta fermo, peraltro, che, per l’attività di mediazione svolta mediante organismi istituti quali dipartimenti interni, i consigli degli ordini degli avvocati hanno l’obbligo di tenere la contabilità separata a norma degli artt. 144, comma 2, del TUIR e 20 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600.
Ai fini IVA, si fa presente che l’individuazione del trattamento tributario dei contributi erogati in favore degli organismi di mediazione non può essere effettuata in via generale in questa sede, in quanto la stessa richiede un esame dei singoli rapporti giuridici instaurati tra il soggetto erogante e l’organismo di mediazione allo scopo di verificare, di volta in volta, la ricorrenza dei presupposti applicativi dell’imposta.
Per quanto concerne il quesito 2), si fa presente che, sia nell’ipotesi di organismi di mediazione istituiti quali dipartimenti dei consigli degli ordini [ipotesi sub A)] che in quella di organismi di mediazione istituiti quali enti autonomi rispetto ai consigli degli ordini [ipotesi sub B)], i proventi conseguiti nell’esercizio della propria attività concorrono alla determinazione del reddito complessivo secondo le ordinarie disposizioni previste in materia di reddito d’impresa. Detti redditi saranno imputabili, nell’ipotesi sub A), in capo al consiglio dell’ordine del quale l’organismo di mediazione costituisce dipartimento e, nel caso sub B), in capo all’organismo di mediazione istituito come ente autonomo.
Ai fini IVA, gli importi versati dalle parti all’organismo di mediazione, sia nell’ipotesi sub A) che nell’ipotesi sub B), costituiscono corrispettivi di prestazioni di servizi imponibili agli effetti del tributo.
Le Direzioni regionali vigileranno affinché i principi enunciati e le istruzioni fornite con la presente risoluzione vengano puntualmente osservati dalle Direzioni provinciali e dagli Uffici dipendenti.